Stagione teatrale in corso

STAGIONE TEATRALE 2023 - 2024





dal 14 ottobre al 19 novembre 2023

Suocere e Delitti

LA BUONANIMA DELLA SUOCERA
di George Feydeau


IL DELITTO DI VIA DELL’ORSINA
di Eugène Marin Labiche

Traduzioni di
Annamaria Martinolli


Regia di Maria Grazia Bettini
 

LA BUONANIMA DELLA  SUOCERA

di Georges Feydeau (1908)

Lucien rientra alle quattro del mattino da una festa in maschera e la moglie inizia a litigare con lui perché ha dimenticato le chiavi. Quello che sembra un classico litigio tra coniugi diventa ben presto una lotta senza esclusione di colpi a cui Lucien cerca disperatamente di porre fine per poter andare a dormire. Yvonne, però, non è disposta a mollare e coinvolge nella situazione anche la domestica. A questo si aggiunge il valletto della madre di Yvonne che si presenta all’improvviso all’ingresso per annunciare la morte della suocera... 

GEORGES FEYDEAU  (1862-1921)
Feydeau non era un autore di grandi pretese. Si vedeva come un vaudevillista particolarmente incline a far ridere, con un’ottima capacità di stuzzicare la vecchia formula teatrale utilizzando le sue doti per raccontare le divertenti disavventure di alcuni Don Giovanni borghesi a caccia di sesso senza conseguenze. La riscoperta di cui fu oggetto negli anni Cinquanta, invece, lo portò a essere considerato un “autore serio”, meritevole di un’analisi approfondita: “A fine secolo, nella Parigi della belle époque, il vaudeville di Georges Feydeau possiede il privilegio della perfezione. In esso si esprime una immagine della vita matura e compiuta: si cristallizza il destino di una società…”

 

IL DELITTO DI VIA DELL’ORSINA

di Eugène Labiche (1857)

Lenglumé, dopo una notte di bagordi con l’amico Mistingue, si risveglia a casa in stato confusionale. Nell’abitazione c’è anche l’amico e, dopo breve tempo, i due scoprono dal giornale che nella notte è stato commesso un atroce delitto. Convinti, da una serie di indizi, di essere loro i responsabili, concepiranno un piano per eliminare eventuali testimoni. Labiche in uno dei suoi più noti testi giallo-comici.

EUGÈNE LABICHE  (1815-1888)
Commediografo francese, autore fecondissimo, ritrasse nei suoi c.ca 170 lavori, in massima parte scritti in collaborazione, la borghesia francese del tempo, ottenendo un vivissimo successo. Specialista del vaudeville, infiorò i suoi testi di amabili couplets da cantare. Dietro la bonarietà dell’ironia di Labiche, la paradossalità di tante invenzioni, il senso del ritmo che talora raggiunge il virtuosismo (Un chapeau de paille d’Italie, 1851; Un cappello di paglia di Firenze), vi è tuttavia l’acuta osservazione di un’umanità, di una classe, còlta nelle sue debolezze, nelle sue manie, nel suo culto della rispettabilità. Tra i suoi testi migliori si ricordano Le voyage de M. Perrichon (1860); La cagnotte (1864) e, tra gli atti unici, Les deux timides (1860). Fu eletto all’Académie Française nel 1880.

 


 

I due atti unici
Salvare la pelle, salvare la faccia, si combatte la stessa battaglia: è questo il leitmotiv dei due atti unici. Infatti in Feydeau, come in Labiche, se vi sono equivoci, intrighi, quiproquo, è perché si tratta sempre di mantenere le apparenze e la rispettabilità del piccolo mondo borghese che, sotto i nostri occhi, svela i suoi retroscena carichi di acredine, malizia e stoltezza.
Trattandosi di opere di vaudeville (mescolate narrativamente alla più classica situazione da commedia degli equivoci) risulta essenziale il ritmo concitato, fatto di tempi comici e performance attoriali ben calibrate e basate su una certa complicità tra gli interpreti. Solo così si può arrivare al cuore dello spettatore, mostrando vizi e manie di una società che risulta molto vicina a quella contemporanea. 

1, 2 e 3 dicembre 2023

Matrimonio: istruzioni per l’uso

Regia di
Maria Grazia Bettini
Chiara Prezzavento
Mario Zolin

Oh, il matrimonio! Croce e delizia, passione, bisticci, affetto e irritanti compromessi… Eppure, come farne a meno – soprattutto quando lo sposo e duecentoventisei invitati aspettano impazienti al piano di sotto, e la sposa si scopre riluttante? E allora la madre cerca di convincerla, con l’aiuto (talora dubbio) di un carosello di scene classiche e moderne in cui autori diversissimi ridono e sorridono sull’annosa questione: ma insomma, come funziona il matrimonio?

dal 7 al 31 dicembre 2023

Tre sull’altalena

di Luigi Lunari

Regia di Aldo Signoretti
ripresa da Maria Grazia Bettini

Lo spettacolo è diviso in due tempi con un solo intervallo


 
 
La ripresa dello spettacolo è dedicata alla memoria di Aldo Signoretti e di Silvano Palmierini, rispettivamente magistrale regista e straordinario interprete della primitiva storica realizzazione di TRE SULL’ALTALENA

Il Presidente - Francesca Campogalliani

 

Ho scelto di riproporre questo spettacolo, senza cambiare nulla dell’originario allestimento e disegno registico, perché non mi sembrava possibile migliorare alcun elemento, tranne la sostituzione di un attore per “forza maggiore”.

Il Direttore Artistico - Maria Grazia Bettini



Nota d’autore

Ci sono varie cose divertenti che potrebbero essere dette sulla genesi e sulla “fortuna” di questa commedia, ma il dirle non è opportuno: qualcuno potrebbe adontarsene, e, a me non sembra il caso di farmi dei nemici. Le racconterò a suo tempo – magari in una nuova commedia – lasciando per ora il curioso alla sua curiosità. «Tre sull’altalena nasce un po’ per caso: il titolo aggancia e riecheggia – come è mio costume – un titolo noto, tentando di scavalcare a livello subliminare la diffidenza del pubblico italiano per le cose nuove e mai sentite. Come commedia – a parte l’abilità tecnica che sempre e generosamente mi riconosco – non mi sembrava gran cosa: e devo un cero e un inno a Franco Graziosi, che per primo si è calorosamente divertito leggendola e che mi ha aperto gli occhi, diciamo, sulle sue possibilità. Ho constatato poi che la commedia piace molto agli attori, e mi sono ricordato del Goldoni, che nel suo Teatro comico fa dire a un attore: «Perché una commedia diverta il pubblico bisogna che prima diverta me». Che diverta e piaccia agli attori è dunque un buon auspicio. Poi, rileggendola, mi sono divertito anch’io: e autoanalizzandomi un poco, ho scoperto quanto segue: la commedia – al di là del piccolo mistero di cui ne circonfondo la nascita – è nata comunque senza alcuno scopo preciso, come è per chi dia inizio a un discorso improvvisato, senza una traccia e senza una scaletta, è stata condotta con totale libertà, come è per chi passeggia senza meta e senza scopo, per il puro gusto di passeggiare: il risultato è che nel totale disimpegno, nella mancanza di ogni progetto particolare, sono liberamente confluiti in queste pagine temi, episodi, convinzioni, speranze, paure, manie che appartengono più che a me uomo di teatro o intellettuale o scrittore, a me uomo in quanto tale, Luigi Lunari e basta. E – sempre in questa disimpegnata libertà, non dissimile da quella sciolta tranquillità che a volte negli sport procura il record – la commedia si è disposta «naturalmente» secondo un ordine e un significato, che diventano addirittura esistenzial-filosofici. Al punto che avrei potuto scrivere – del tutto diversamente da quanto ho scritto – «…Questa commedia tratta dai vari atteggiamenti che l’Uomo assume di fronte al grande Problema della Morte. I tre protagonisti, e la quarta persona che sopraggiunge alla fine, rappresentano – secondo una tipologia che attraverso le quattro maschere della commedia dell’arte e le carte dei tarocchi risale addirittura all’antico Egitto – il Potere Economico, la Sapienza Filosofica e Razionale, la Forza delle Armi e da ultimo il Popolo Lavoratore (Pantalone, il Dottore, il Capitano, lo Zanni, ovvero i segni di danari, di coppe, di spade e di bastoni). Di fronte all’eterno problema della Vita e della Morte reagiscono secondo la propria intima struttura psicologica e culturale, cedendo alla paura, trovando rifugio nella razionalità, alzando le spalle nel cachinno derisivo e strafottente, sortendo un dibattito che nello scontro e nel confronto...» ... eccetera eccetera…

Luigi Lunari

 

 

dal 13 gennaio al 4 febbraio 2024

Il berretto a sonagli

di Luigi Pirandello

Regia di Mario Zolin

Beatrice, servendosi del delegato Spanò, ordisce una trama per smascherare l’infedeltà del marito, il Cavalier Fiorica, che si lascia cogliere in flagrante.
Nell’ottica perbenista tipica di ogni ipocrisia borghese, la famiglia tenta d’insabbiare l’accaduto. Così, l’indignazione di una donna ingannata, potrebbe concludersi con disarmante semplicità.
La schermaglia domestica però chiama in causa un terzo personaggio e ne mina irrimediabilmente la reputazione agli occhi dei compaesani.
Si tratta dello scrivano Ciampa, il quale da tempo accetta, per amore o debolezza, la sua degradante condizione di uomo tradito, purché essa rimanga nascosta alla curiosità del mondo.
A questo punto, tuttavia, sentendosi messo alla berlina, egli diviene severo e implacabile ragionatore solo facendo sembrare pazza Beatrice potrà recuperare l’onore perduto.
Ergendosi a difesa della sua smagrita dignità, il Ciampa inanella una serie di funamboliche quanto stringenti argomentazioni, persuadendo con le sole armi della consequenzialità e della logica.
Il berretto a sonagli della pazzia è il lasciapassare che consente di accedere alla verità e di gridarla al mondo.
Al consorzio civile non resta che isolare il folle nel tentativo di preservare il suo delicato equilibrio interno: solo l’ennesimo simulacro che il protagonista lacererà scoppiando, nel finale, in un’orribile risata "di selvaggio piacere e di disperazione a un tempo".

 

NOTE DI REGIA

Prigionieri di un angusto carcere, soggetti alla tirannia delle convenzioni, gli interpreti sono costretti a disegnare brevi traiettorie, voli spezzati da barriere che ne stordiscono i più spontanei impulsi.
I personaggi sono pupi, marionette forme che imprigionano la vita vera sono circondati da simulacri della borghesia (poltrone, quadri, statue, lampadari...).
Si muovono e vivono in uno spazio delimitato, quasi costretti a vivere solo in quel quadrato piastrellato.
Si presentano al pubblico muti burattini che, una volta illuminati, prendono vita per raccontare la loro storia: maschere di ipocrisia, per esistere sono costrette a salvare ognuna il proprio ruolo nella società. Non importa chi dovrà soccombere l’importate è che l’ordine costituito non venga sovvertito.
Calibrando la parola sul gesto ed il gesto sulla parola, la regia affida alla recitazione il compito di restituire ai dialoghi il loro colore naturale nel perentorio rifiuto di ogni caricatura. Si sottolinea così che le maschere sono la normalità nel consorzio civile.
Gli anni venti del novecento fanno da ambientazione all’allestimento scenico, volutamente improntato ad un austero minimalismo.
Luci e musiche d’atmosfera incorniciano, in particolare, i momenti d’astrazione del Ciampa dal suo personaggio: i celebri monologhi nei quali la voce di Pirandello sembra distinguersi vividamente per enuclearne i gangli teorici.

 

NOTA BIOGRAFICA

Luigi Pirandello nasce nel 1867 ad Agrigento.
La famiglia, agiata e numerosa, appartiene alla nuova borghesia professionistica e industriale siciliana. Compie un complesso iter di studi e si laurea a Bonn dopo aver frequentato le università di Palermo e Roma.
Nel 1893 comincia a dedicarsi alla narrativa e nel 1901 viene pubblicato il suo primo romanzo "L’esclusa" che presenta già le principali tematiche pirandelliane: il contrasto tra apparenza e realtà, lo sfaccettarsi della verità, l’assurdità della condizione umana fissata in una "forma" che soffoca la "vita".
Nel 1904 inizia a pubblicare a puntate "Il fu Mattia Pascal" che realizza con esiti particolarmente felici la novità del suo pensiero.
Nel 1908 esce "L’umorismo" in cui enuncia i capisaldi della sua poetica.
Nel 1910 inizia la sua ricchissima produzione teatrale di cui ricordiamo "Il berretto a sonagli" del 1916, che si colloca fra le opere più importanti del primo periodo, e "Sei personaggi in cerca d’autore" del 1921, che è l’emblema della sua rottura con il teatro tradizionale.
Successivamente Pirandello continua anche l’attività di narratore con opere di grande rilievo, ma si identifica sempre più con il mondo teatrale, partecipa alla messa in scena dei suoi spettacoli e fonda il "Teatro d’Arte di Roma" conMarta Abba e Ruggero Ruggeri come primi attori.
Nel 1934 riceve il premio Nobel. Muore a Roma due anni più tardi.

 

dal 10 febbraio al 10 marzo 2024

Cosmetica del nemico

di Amélie Nothomb

Regia di Mario Zolin

LA STORIA

Partendo dalla metaforica sala d’attesa di un aeroporto, “non luogo” maledetto e senza rimedio in caso di ritardi, la “Cosmetica del nemico” s’inoltra crudelmente su un percorso intrigante, in sottile equilibrio fra il “giallo” e il “noir metafisico”. E in questo “non luogo” troviamo l’irascibile uomo d’affari francese Jérome Angust, simbolo dell’individuo che preferisce non vedere piuttosto che accettare la giusta sorte. Coscienza e memoria sono infatti il nemico, il demonio, desueto comandamento della filosofia classica: “conosci te stesso”. Così questo manager in viaggio d’affari non vuole saperne. Persino il suo cognome, Angust, richiama la miseria interiore in cui non vuole ammettere di trovarsi. Ma Jérome dovrà fare i conti con quello strano “nemico” che è il suo incalzante e impertinente scocciatore olandese: Textor Texel. Quest’ultimo costringerà Jérome a subire una conversazione asfissiante, per condurlo in tal modo verso il suo destino prestabilito. Con il suo decimo romanzo breve (come tanti altri suoi, particolarmente adatto alla messa in scena), Amélie Nothomb compie uno dei suoi migliori atti di denuncia dell’animo umano: “senza la giusta memoria, l’uomo si autoassolve perfino dal crimine peggiore”. Come in molti altri suoi romanzi, la scrittrice belga dimostra anche qui il suo gusto per l’ironia e il sarcasmo, non privo di una sottile vena di sadismo, e, anche in questo caso, la lotta senza esclusioni di colpi fra i due protagonisti porterà a una resa dei conti drammatica. Dal fulminante dialogo fra Jérome e Textor emergeranno via via, nel ritmo incalzante e nella tensione crescente, le profonde tematiche (tragicamente attuali) messe in luce dalla Nothomb nel suo testo.  Fino alla rottura del guscio che svelerà il mistero più macabro.

 

NOTE DI REGIA

La lettura di “Cosmetica del nemico” mi ha conquistato sin dalle prime pagine. Allora non sapevo bene dove mi avrebbero portato quei due personaggi con il loro serrato botta e risposta, ma poi, battuta dopo battuta, ho cominciato a scavare nella vita di entrambi: ciò mi ha permesso di capire i loro comportamenti e le loro reazioni a determinati accadimenti con cui è costruita la trama del racconto. Terminata la prima lettura, mi sono reso conto che il serrato processo che si svolge in “Cosmetica del nemico” poteva essere portato in scena con approcci molto diversi. La mia scelta è stata quella di prediligere l’aspetto “giallo” del testo, ma senza svuotarlo di quei riferimenti psicologici e filosofici che lo rendono vivo e attuale. L’Autrice è infatti riuscita a far emergere nel suo racconto quel nemico che ognuno di noi ha dentro di sé e che non sempre si riesce a vincere.

Su questi aspetti ho concentrato la messinscena; i due protagonisti si affrontano, si studiano, si aggrediscono fino alle ultime battute di un finale, in un certo senso macabro, ma del tutto sorprendente.

Dopo un approfondito lavoro con gli attori, mi sono dedicato alla ricerca di quei contributi multimediali (luci, interventi sonori e videoproiezioni) che potessero scandire e sottolineare i vari passaggi di situazione. Con questi contributi ho cercato inoltre di evidenziare il filo narrativo e di stimolare l’attenzione del pubblico, favorendo l’immedesimazione dello stesso nei personaggi per renderlo partecipe delle emozioni che si scatenano via via nella storia. Una storia che lo spettatore percorre entrando e uscendo da quel “non luogo” che è la sala d’attesa di un aeroporto, che ho ricreato con una scenografia metaforicamente astratta.

 

“Sono te. Sono quella parte di te che non conosci ma che ti conosce fin troppo bene. Sono quella parte di te che tu ti sforzi di ignorare”

 

AMÉLIE NOTHOMB

Scrittrice belga di lingua francese (nata a Kobe, Giappone, nel 1967), figlia di un ambasciatore, la Nothomb ha trascorso l’infanzia nel Paese natale, seguendo poi il padre in diversi altri Paesi, fra cui Cina e Stati Uniti. Dopo la laurea in Belgio, ha vissuto ancora in Giappone, dove ha lavorato come traduttrice in una grande azienda. Scrittrice di culto, non solo in Francia, ha esordito nel 1992 con Igiene dell’assassino, il romanzo che l’ha subito imposta a livello internazionale. Da allora ha pubblicato un libro all’anno: i suoi romanzi sono stati tradotti in decine di lingue e innumerevoli sono gli adattamenti teatrali che sono stati portati in scena. La Nothomb si è aggiudicata diversi prestigiosi premi letterari, tra cui il Grand Prix du roman de l’Académie Française e il Prix Internet du Livre per Stupore e tremori, il Prix de Flore per Né di Eva né di Adamo, e due volte il Prix du Jury Jean Giono per Le Catilinarie e Causa di forza maggiore. Primo sangue, suo trentesimo romanzo, si è aggiudicato il Prix Renaudot 2021 e il Premio Strega Europeo 2022.

dal 23 marzo al 21 aprile 2024

Pene d’Amor Perdute

di William Shakespeare

Regia di Chiara Prezzavento

Pene d’Amor… Accademiche
Nello scrivere il nuovo, severo statuto del Navarre College, il preside King e lo zelante dottorando Dumain hanno trascurato un particolare: come fa notare lo scapestrato professor Biron, è difficile tenere a distanza le distrazioni femminili quando la delegazione francese in arrivo per un convegno è composta per lo più da signore… Per parte sua l’agguerrita vicepreside francese Mme Valois è decisa a non tollerare le bizzarrie inglesi che la obbligano ad alloggiare nel parco con assistente e dottorande al seguito. A complicare la situazione si aggiungono una pittoresca compagine spagnola, lo svagato custode Costard e ben presto… Cupido! Mentre le rivalità accademiche s’intrecciano alle trame amorose, tra malintesi, travestimenti e dispetti, chi la spunterà nel gioco senza tempo tra ragione, sentimento e potere?

Note di Regia
Originariamente scritto per un pubblico di giuristi, con la sua enfasi comica sullo studio, con le sue parodie poetiche e l’eloquenza spumeggiante, il testo si presta bene a una reinterpretazione in chiave moderna e accademica. La divertita esplorazione dei molteplici usi del linguaggio (strumento di potere, conoscenza, seduzione, inganno, distinzione sociale, comprensione e incomprensione…) si sposta agli anni Sessanta del Novecento, in un immaginario college inglese, utilizzando l’elemento di parodia accademica per sottolineare l’universalità di Shakespeare. A quattro secoli e mezzo di distanza, questa commedia ci consente di giocare con le aspettative sui ruoli maschili e femminili – e sovvertirle in pieno!