Stagione teatrale passata

STAGIONE ESTIVA 2017






7 maggio 2017 ore 16:00

Monastero di San Pietro in Lamosa
Provaglio d’Iseo (BS)

Destinatario sconosciuto

di Katherine Kressmann Taylor

a cura di Maria Grazia Bettini e Diego Fusari

1932. Martin Shulse, tedesco, e Max Eisenstein, ebreo americano, soci in affari e amici fraterni, si separano quando Martin decide di lasciare la California per tornare a vivere in Germania. Inizia tra i due uno scambio epistolare. Ma l’ombra della storia si proietta sul destino dei due amici.Hitler sale al potere, voci sempre più allarmanti giungono alle orecchie di Max. Martin, da parte sua, guarda con crescente entusiasmo ai destini della nuova Germania. L’amicizia è ormai impossibile, ma Max continua a credere nella lealtà dell’antico socio,e si rivolge a lui per chiedere aiuto in una circostanza drammatica. La reazione di Martin, che ha nel frattempo assunto un incarico di rilievo nel partito nazista, sarà, invece crudele. Ma totalmente imprevedibile si rivela il colpo di scena che segue...

13 maggio 2017 ore 20:45

Teatro Comunale “Mauro Pagano” - Canneto sull’Oglio

La dodicesima notte

di William Shakespeare

LA STORIA

Una terribile tempesta fa naufragare la nave sulla quale viaggiano Viola e Sebastiano, due gemelli particolarmente uniti dalla prematura morte dei genitori. Raggiunte le coste dell’Illiria (una regione tra l’Italia orientale e la Macedonia), Viola, che si è salvata dal naufragio grazie all’aiuto del capitano della nave, travestita da ragazzo con il nome di Cesario, entra al servizio del Duca Orsino, di cui subito si innamora.
Orsino, che vive un amore sofferto e non ricambiato per la bella contessa Olivia, ben lontano dall’immaginare il travestimento del giovane paggio, lo fa subito suo confidente. Cesario viene utilizzato dal duca come messaggero delle sue pene d’amore e Olivia, conquistata dalla suadente voce e dalla grazia del giovane Cesario, se ne innamora. Nei vari incontri, voluti da Orsino per perorare la sua causa, Olivia ha modo di dichiarare il suo amore, che non sa essere impossibile, al giovane Cesario-Viola, che ovviamente la respinge.
L’improvvisa apparizione di Sebastiano, scampato anche lui al naufragio grazie ad Antonio, sancisce la soluzione finale: Olivia si promette a Sebastiano credendolo Cesario, infatti i due gemelli si somigliano come due gocce d’acqua, e Orsino, riconoscendo come sincero l’affetto del giovane Cesario, cioè di Viola, e cedendo alla sua forza amorosa, decide di farne la padrona del suo padrone, sposandola.
All’interno della vicenda Viola - Orsino - Olivia - Sebastiano si sviluppa un’altra storia: la burla di Sir Toby "Rutto", parente di Olivia, di Sir Andrew, (due ubriaconi, buontemponi, ospiti di Olivia), della cameriera di Olivia, Maria, e dell’amica Fabiana ai danni del povero Malvolio, maggiordomo di Olivia, moralista, borioso, supponente, che aspira segretamente alla mano della padrona. La burla consiste nel far credere a Malvolio,  con una lettera opportunamente concepita e fatta trovare sul suo cammino, che anche Olivia lo ama segretamente… Ovviamente viene preso dalla contessa per pazzo e, come tale, dai quattro rinchiuso in una stamberga al buio e li’ sbeffeggiato fino all’estremo limite.  C’è infine nella commedia un altro personaggio, Feste, il giullare buffone della contessa Olivia: egli è il Folle che tutto vede e tutti conosce nell’intimo, le cui melodie accompagnano, commentandolo, lo svolgersi degli avvenimenti e nelle cui parole ritroviamo la filosofica shakespeariana accettazione della realtà della vita.

 

NOTE DI REGIA

Metto in scena Shakespeare perché nel 2014 ricorre l’anniversario della sua nascita, il 1564, ma la scelta de La Dodicesima notte nasce dall’intenzione di proporre, tra tutte le commedie, quella che è parodia di altre commedie di Shakespeare e potrebbe per complessità e struttura rimanere l’ultima nella creazione.
I personaggi sono folli, senza saperlo, per questo il ritmo è frenetico. Il testo si muove continuamente sulle note della violenza, che però si sublima nella vena ironica del linguaggio shakespeariano.
L’ho immaginata senza tempo e luogo, come una ballata dell’autore, che nella commedia prende le vesti di Feste, il matto arguto e saggio, trasformato in un cantastorie alla fine del suo viaggio.
Ed ecco che costumi (così come le scene) non hanno epoca, ma presentano fogge vagamente classicheggianti con alcuni elementi che riconducono alla modernità; così pure la traduzione di Luigi Lunari propone un linguaggio moderno e attuale.
La commedia inizia proprio con il cantastorie Feste, che racconta di una tempesta, quasi collegandola a un’altra opera famosa La tempesta,  come se ci fosse un preludio della conclusione (quella dell’esperienza teatrale di Shakespeare).
Come tutte le ballate dei cantastorie, gli elementi scenici sono ridotti: un drappo che indica una vela, un giardino, una tenda, sedie di diverse epoche  che movimentano le azioni degli attori e un tavolo che diventa gabbia o assi della nave, così da lasciare spazio all’immaginazione degli spettatori.

Solitamente nella commedia le storie si risolvono in un cerchio che si chiude con il lieto fine, ma ne La Dodicesima notte lo schema classico di chiusura non è previsto: la fine è sospesa perché nulla si risolve, anche l’amore non trionfa sulla realtà nella quale, al contrario, le cose belle vivono accanto a quelle brutte, le crudeltà accanto ai buoni sentimenti, l’amore romantico insieme a quello irrisolto. Insomma nella realtà non tutto finisce bene e "quel che volete" è proprio quello che Shakespeare, nella sua ultima commedia, ci suggerisce di ricercare anche nella nostra vita.

 

Maria Grazia Bettini

 

19 e 20 maggio 2017 ore 21:00
21 maggio 2017 ore 17:00

Teatro d’Arco

Oh che bella guerra!

Teatro Cabaret di Luigi Lunari

Spettacolo degli allievi
Scuola Accademia Teatrale Francesco Campogalliani

NOTE BIOGRAFICHE dell’Autore

Luigi Lunari è nato a Milano nel 1934. Si laurea in legge a Milano, ma molto presto si rende conto di preferire le arti e soprattutto di preferire il Teatro al Tribunale, studia composizione e direzione d’orchestra all’Accademia Chigiana di Siena e comunque è stato anche Giudice di Pace. Si occupa di teatro in varie direzioni, dedicandosi per periodi di varia durata all’insegnamento universitario, alla saggistica, alla critica. E’ stato attivo protagonista della grande trasformazione che il teatro ha vissuto nella seconda metà del Novecento sia sul piano organizzativo e strutturale, sia per quello che riguarda ogni teoria dello spettacolo e la stessa drammaturgia. Per vent’anni dal 1961 al 1982 ha collaborato con Grassi e Giorgio Strehler, che ancora oggi Lunari chiama “Il Maestro”, al Piccolo Teatro; è stato anche docente universitario, critico teatrale e musicale. Ha tradotto in italiano molte opere teatrali di vari autori tra cui Molière, Shakespeare e Neil Simon. Fra le sue maggiori opere teatrali figura ’Tre sull’Altalena’ (1990), l’opera che lo ha reso celebre sui palcoscenici di tutta Europa. Lunari conosce il teatro dall’interno, dall’ottica di chi lo produce, dal palcoscenico, dal meccanismo artistico fondamentale che è la creazione del testo. Alcune sue opere sono state tradotte anche in giapponese e rappresentate, con grande successo, in quel Paese. Vastissima anche la sua attività saggistica, dedicata in particolare a Goldoni, Molière, Brecht e al teatro inglese dell’Otto e Novecento. Ha pubblicato inoltre una ’Breve Storia del Teatro’ e tanto altro fino ad arrivare negli anni ’60 quando per il quartetto dei Gufi, ha scritto due testi: "Non so, non ho visto, se c’ero dormivo" e "Non spingete, scappiamo anche noi". Nel 2014, infine, il suo ultimo testo teatrale: "Amor sacro, amor profano". In tutta questa sua attività teatrale, Lunari non ha mai tralasciato il suo hobby che é quello di suonare il pianoforte e la tromba. Luigi Lunari vive e lavora a Milano. 


OPERA

“Oh, che bella guerra!” Un titolo, a dir poco, provocatorio. Potrebbe mai essere considerata bella una guerra? L’autore, Luigi Lunari, giustifica il titolo con una rappresentazione in forma cabarettistica evidenziando alcuni frammenti della Prima Grande Guerra Mondiale. Sono interpretati personaggi di varia natura per i quali viene enfatizzata la loro ira, la loro arroganza, la loro follia e la loro disperazione, il tutto con una vena ironica che porta lo spettatore al sorriso, nonostante l’argomento trattato. Una Guerra che tutti quanti, chi più chi meno, conosciamo per averla studiata sui libri di scuola. Il periodo rappresentato vede i Rappresentanti Diplomatici delle Nazioni studiare le tattiche per diventare sempre più potenti e arricchirsi sempre più, indicendo battaglie spietate per conquistare territori sempre più vasti a discapito dei giovanissimi soldati, arruolati nelle maniere più disparate e ingannevoli, che morivano a milioni sui campi di battaglia o rimanevano mutilati o subivano una lunga e ardua prigionia a volte senza via di uscita. Durante lo spettacolo vengono proiettate alcune diapositive dell’epoca trattata che non devono distrarre lo spettatore, ma solo indirizzarlo al preciso momento o personaggio che viene rappresentato dagli attori. Il significato che Lurani vuole trasmettere al pubblico è: “l’inutilità della guerra”, definita anche dall’allora Papa Benedetto XV “inutile strage”. Tanto inutile che si ripeté con la dichiarazione della Seconda Guerra Mondiale.


NOTE DI REGIA

Quattro Reduci occupano la scena e raccontano in poche parole l’argomento che verrà trattato: la Guerra, in particolare la Prima Guerra Mondiale. Subito dopo lo spettatore verrà catapultato in un susseguirsi di monologhi, dialoghi, poesie, canzoni dell’epoca, interpretati e raccontati dagli attori nelle vesti di illustri Capi delle Nazioni, di soldati o dei loro parenti a casa, il tutto coordinato da una figura - una voce narrante - denominata da Lunari “Il Presentatore”. Alcuni personaggi saranno interpretati da attori diversi che si succederanno in scene distinte. Ad esempio il pubblico vedrà ed ascolterà ben cinque Presentatori e due Generali Cadorna. La rappresentazione ha una forma cabarettistica e mette in rilievo il frenetico ed esagerato “entusiasmo”, meglio definito “follia”, che vige tra i Capi delle Nazioni per impossessarsi di territori sempre più vasti facendo semplici calcoli e valutazioni solo sulle carte geografiche e chi più ne ha, più ne vorrà. Questa mania di grandezza porta gli stessi Capi delle Nazioni ad allearsi tra loro, ma anche a tradirsi o a dichiararsi guerra l’un l’altro schiaffeggiandosi sulla scena. Bello il momento in cui i soldati sul campo di battaglia, si danno tregua perché è Natale, perché in effetti loro non sono i veri acclamatori della guerra, ma sono solo dei semplici esecutori tutti uguali, tutti giovanissimi, nonostante la provenienza. Anche se per pochissimi istanti e solo ascoltandosi a distanza, festeggiano insieme il Natale cantando una canzone nota in tutto il mondo, ognuno nella propria lingua. Il momento, invece più triste e commovente dell’Opera è rappresentato dalla lettura delle “lettera a casa” interpretate da alcune attrici nei panni di madri, mogli, sorelle dei soldati. Il tutto dovrebbe finire con l’acclamazione della fine della guerra nel 1918, ma questa guerra è risultata inutile, come è il significato dell’Opera, tanto che dopo vent’anni, nel 1939, scoppierà la Seconda Guerra Mondiale. Lo spettacolo finisce con la canzone del famoso poeta Boris Vian “ Monsieur le President”, cantata in italiano, che sfocerà in un’acclamazione a gran voce di tutti gli attori: NO! No alla guerra.

26 e 27 maggio 2017 ore 21:00
28 maggio 2017 ore 17:00

Teatro d’Arco

Attese

Scuola di Teatro F. Campogalliani

Regia Mario Zolin
Direzione artistica Marina Alberini

Il tempo dell’attesa è la culla dei sogni

Una donna attende la nascita del figlio. Lo stato di grazia che è la maternità non è privo di timori e interrogativi, con quella mescolanza di gioie e dolori che la vita umana sempre riserva. Il padre del bambino, tra l’altro, è un militare di carriera. Si trova in una zona di guerra, uno dei focolai che ancora ai nostri giorni insanguinano il mondo. Alla protagonista di questa storia firmata da Elena Miglioli appare in sogno una moltitudine di figure femminili. Un raduno onirico che incoraggia la futura madre, metafora della solidarietà senza tempo tra le donne, ma ancor prima di una sorte universale che le accomuna. Quella dell’attesa, tema portante dello spettacolo.
Alla vicenda moderna fanno eco i vissuti delle donne di due classici della letteratura drammaturgica, sempre in attesa, appunto, di qualcosa o qualcuno: in estrema analisi, del proprio destino. Nelle Troiane di Euripide (415 a.C.), dopo la caduta della città di Troia, le donne sopravvissute alla guerra aspettano di essere date in schiave ai vincitori. A nulla giova “drizzare la prora contro l’onda”, opporsi cioè a una “rotta segnata”. Altre voci si intrecciano con quelle dell’antichità. Appartengono alle ragazze che Fernando Pessoa chiude in una stanza a vegliare un’amica morta, nell’opera Il Marinaio (1915). In un’atmosfera impalpabile, dove “il presente è subito passato”, le vegliatrici attendono l’alba che le dissolverà e si sforzano di sfuggire a un epilogo già scritto, grazie a una conversazione senza sosta.
Il dramma Verrà il giorno fa proprio anche l’argomento chiave della pièce di Pessoa: il sogno. “Di eterno e di bello c’è solo in sogno”, si confidano le vegliatrici. E di fronte alla compagna ormai in viaggio per l’aldilà aggiungono: “Perché si muore? Forse perché non si sogna abbastanza”. Nel lavoro di Elena Miglioli la nascita di una nuova vita riscatta in qualche modo gli eventi tragici e intreccia indissolubilmente attesa e sogno, nella misura in cui l’uno diviene “la culla” dell’altro: “Il vero tempo, quello che vale oro, è il tempo dell’attesa. Dove ogni cosa è possibile. E anche i sogni trovano casa”.


NOTE DI REGIA

A conclusione di questo secondo corso si è pensato di costruire uno spettacolo che vedesse rappresentati i diversi modi di comunicazione teatrale, si passa infatti dalla lettura drammatizzata al coro, dal monologo al dialogo . Questa scelta e stata fatta per dar modo agli allievi di cimentarsi sul palcoscenico dimostrando così il livello complessivo raggiunto a conclusione di questo corso biennale. Con l’intervento di un’allieva del primo anno abbiamo toccato anche la scrittura teatrale con un testo monologo che servisse a legare e a completare lo spettacolo.

27 maggio 2017 ore 21:00

Teatro Olimpico Vicenza

Le intellettuali

di Molière
traduzione di Cesare Garboli

Regia di: Maria Grazia Bettini

Evento dedicato all’Accademia Teatrale “Francesco Campogalliani”, quale vincitrice del premio “Faber Teatro” nell’ambito del concorso “Maschera d’Oro 2017”, ove ha ottenuto il riconoscimento di “Miglior Compagnia”.
 

NOTE DI REGIA

Commedia salace, svincolata da tematiche legate alla corte e al potere, ma segnata da riflessioni che l’autore sviluppò liberamente, indagando su situazioni che minavano dall’interno la società francese, specie di quella classe borghese che doveva costituire la struttura portante della società e tendeva invece a un disfacimento dettato da false ambizioni, malintese finalità culturali, degrado di rapporti parentali.
Il tipo di critica che Molière pone a segno la ritroviamo in parte oggi. Ma la materia è sempre quella, e la modernità del testo emerge nell’interpretazione registica che ha impresso nei ruoli la caratterizzazione dei vizi tanti e delle poche virtù che animano la drammaturgia molieriana.
Ho lavorato con gli attori tenendo conto delle qualità di ognuno attingendo dalla loro fantasia e incanalando ogni interpretazione nel suo progetto espressivo, lavorando sulla traduzione di Cesare Garboli, dal linguaggio schietto, che a tratti lascia intravedere i versi dell’originale, ma privilegiando una parlata in prosa, nella quale far emergere poi i momenti di leziosa letteratura che costituiscono uno dei temi dell’opera su cui si appunta la critica dell’autore. La caratterizzazione spinta dei personaggi “intellettuali” mette in risalto la critica dell’autore ad un falso mondo culturale, anche oggi rintracciabile nella società moderna.


TRAMA

Filaminta, donna colta e raffinata, moglie dispotica del mite Crisalo, ha una sola aspirazione: dimostrare la superiorità intellettuale e mentale delle donne. Forte di questa convinzione, ha trasformato la propria casa in un “salotto filosofico e letterario” e, insieme alla cognata Belisa e alla figlia maggiore Armanda, la mette a disposizione di un poetastro affarista: Trissottani, il quale desidera solo arrivare a possedere le ricchezze della famiglia; a lui vuol dare in moglie la figlia minore Enrichetta, che però non ha aspirazioni intellettuali e ama, riamata, il giovane Clitandro, come lei poco incline alle esagerazioni culturali.
Dopo varie vicissitudini, sarà il saggio Aristo a far ragionare il fratello Crisalo e ad escogitare un innocuo tranello che porterà la pace e l’ordine in famiglia.

* * *

Les femmes savantes fu rappresentata per la prima volta a Parigi, al Palais Royal l’11 marzo 1672: Molière vi recitava la parte di Crisalo. La pièce piacque e fu replicata per dieci volte con ottimi incassi. Protagonista delle Intellettuali è il teatro: il teatro che non sta mai fermo, dove ad ogni parola è concesso di litigare e di contraddirsi. La prima impressione è di movimento, una conversazione dove tutti non fanno che togliersi la parola di bocca lasciando parlare gli altri con molta civiltà. Il ritmo da saloon si accompagna ad uno scompiglio di ricchi, il reddito cospicuo ad una fiera di nevrosi privilegiate, esaltante e raffinato concerto finale dove Molière riassume tutti i connotati del suo teatro irriducibile avversario degli snobismi culturali e mode del momento. Molière non è forse mai stato così acuto scienziato della società come ne Le Intellettuali, una pièce che si alza come un polverone in attesa di una bufera che non scoppia o esplode solo per passare via ripristinando un nuovo ordine. Les femmes savantes è una girandola di idee, un fuoco d’artificio fatto di temi quali la condizione e istruzione femminile, il problema della coppia e quello sessuale, l’antagonismo maschio-femmina, il rapporto tra cultura e stato, l’impegno e il disimpegno.

Cesare Garboli

13 luglio 2017 ore 21:00

Parco delle Bertone

La moglie del mondo

di Carol Ann Duffy

Regia di Maria Grazia Bettini

La moglie del mondo (The World’s Wife) è una raccolta di poesie le cui protagoniste sono donne, vere o immaginarie, in cerca di un loro ruolo nella storia e nel mito. Sono le mogli di uomini famosi, come la signora Pilato, la signora Esopo, la signora Freud e altre ancora; oppure sono donne tradizionalmente definite tramite i loro uomini, come Dalila o Euridice. Sono le mogli del mondo secondo l’efficace titolo.

Tutte le poesie si configurano come autoritratti. Il monologo, da sempre una delle forme poetiche preferite da Carol Ann Duffy, in questa raccolta le permette di dare una voce distintiva e forte a ciascuna di queste mogli che si collegano a costruire un’affascinante rivisitazione, una versione dei fatti dalla parte di lei.

Le narratrici non si limitano infatti ad aggiungere particolari mancanti o verità nascoste alle storie già note, ma ciascuna di loro ha spesso una storia del tutto inedita da raccontare.

22 luglio 2017 ore 21:00

Parco delle Bertone

Il fantasma di Canterville

di Oscar Wilde

traduzione e riduzione teatrale di Chiara Prezzavento

Regia di Maria Grazia Bettini

L’OPERA

Dopo tre secoli di onorata carriera sovrannaturale, il fantasma di Sir Simon mai si sarebbe aspettato dalla famiglia Otis una reazione tanto cinica e distaccata. Hiram Otis, politico statunitense, decide, infatti, di acquistare il castello di Canterville e di trasferirvisi con moglie e figli, nonostante i ripetuti avvertimenti sulla scomoda presenza di uno spettro terrificante. La campagna inglese dell’Ottocento è il luogo migliore per cadere vittima di superstizioni e l’americano decide di non dare peso a simili sciocchezze. Da subito Sir Simon impone la sua presenza spettrale, ma la reazione dei nuovi inquilini va al di là di ogni immaginazione. Gli Otis, infatti, non solo non sono terrorizzati, ma addirittura si prendono gioco di lui e vanificano ogni suo travestimento o espediente. Tutto ciò getta Sir Simon in uno stato di profonda depressione e solo la secondogenita, Virginia Otis, sembra poter entrare in relazione empatica con lui e permettergli, finalmente, di guadagnare il meritato riposo. “Il fantasma di Canterville” (1887) è un esilarante racconto del giovane Oscar Wilde, entrato nell’immaginario collettivo di ognuno di noi, e che deve la sua fortuna anche alle sue innumerevoli trasposizioni cinematografiche e teatrali. Il talento di Oscar Wilde è innegabile e in questo racconto non è racchiuso solo il modo passato di pensare, ma anche quello presente e futuro. Il cinismo, la disillusione della famiglia Otis e la tradizione rappresentata da Sir Simon sono le due facce della stessa moneta che ognuno di noi porta sempre in tasca.
Niente è più divertente di una bella storia di fantasmi. Poche sono le forme della narrazione che possono competere con la proverbiale “notte buia e tempestosa”, con i suoi alberi scheletrici, catene cigolanti, case cadenti, fantasmi svolazzanti e cripte ammuffite. Il genio stravagante di Oscar Wilde regala una storia di orrore divertentissima e acuta. La storia di uno spirito tormentato dalla presenza più terrificante che possa infestare un antico castello inglese: una moderna famiglia americana. Il Fantasma di Canterville merita un posto d’onore nel genere gotico perché è un’irriverente antologia dei suoi cliché. E anche se tutti gli elementi di questo tipo di racconti sono presenti – la casa stregata, l’indelebile macchia di sangue, lo spettro ululante, il passaggio segreto, la prigione sotterranea, la vicenda tormentata – niente di tutto questo è preso sul serio.
Tra salotti stampati e proiezioni di castelli il fine è proprio di divertire il pubblico fingendo di volerlo spaventare!

NOTE DI REGIA

Niente è più divertente di una bella storia di fantasmi. Poche sono le forme della narrazione che possono competere con la proverbiale “notte buia e tempestosa”, con i suoi alberi scheletrici, catene cigolanti, case cadenti, fantasmi svolazzanti e cripte ammuffite. Il genio stravagante di Oscar Wilde regala una storia di orrore divertentissima e acuta. La storia di uno spirito tormentato dalla presenza più terrificante che possa infestare un antico castello inglese: una moderna famiglia americana.? Il Fantasma di Canterville merita un posto d’onore nel genere gotico perché è un’irriverente antologia dei suoi cliché. E anche se tutti gli elementi di questo tipo di racconti sono presenti – la casa stregata, l’indelebile macchia di sangue, lo spettro ululante, il passaggio segreto, la prigione sotterranea, la vicenda tormentata – niente di tutto questo è preso sul serio.
Tra salotti stampati e proiezioni di castelli il fine è proprio di divertire il pubblico fingendo di volerlo spaventare!

29 luglio 2017 ore 21:00

Parco delle Bertone

Destinatario sconosciuto

di Katherine Kressmann Taylor

a cura di Maria Grazia Bettini e Diego Fusari

1932. Martin Shulse, tedesco, e Max Eisenstein, ebreo americano, soci in affari e amici fraterni, si separano quando Martin decide di lasciare la California per tornare a vivere in Germania. Inizia tra i due uno scambio epistolare. Ma l’ombra della storia si proietta sul destino dei due amici.Hitler sale al potere, voci sempre più allarmanti giungono alle orecchie di Max. Martin, da parte sua, guarda con crescente entusiasmo ai destini della nuova Germania. L’amicizia è ormai impossibile, ma Max continua a credere nella lealtà dell’antico socio,e si rivolge a lui per chiedere aiuto in una circostanza drammatica. La reazione di Martin, che ha nel frattempo assunto un incarico di rilievo nel partito nazista, sarà, invece crudele. Ma totalmente imprevedibile si rivela il colpo di scena che segue...

7 ottobre 2017 ore 20:45

Teatro Comunale “Mauro Pagano”
Canneto sull’Oglio

Il berretto a sonagli

di Luigi Pirandello

Beatrice, servendosi del delegato Spanò, ordisce una trama per smascherare l’infedeltà del marito, il Cavalier Fiorica, che si lascia cogliere in flagrante.
Nell’ottica perbenista tipica di ogni ipocrisia borghese, la famiglia tenta d’insabbiare l’accaduto. Così, l’indignazione di una donna ingannata, potrebbe concludersi con disarmante semplicità.
La schermaglia domestica però chiama in causa un terzo personaggio e ne mina irrimediabilmente la reputazione agli occhi dei compaesani.
Si tratta dello scrivano Ciampa, il quale da tempo accetta, per amore o debolezza, la sua degradante condizione di uomo tradito, purché essa rimanga nascosta alla curiosità del mondo.
A questo punto, tuttavia, sentendosi messo alla berlina, egli diviene severo e implacabile ragionatore solo facendo sembrare pazza Beatrice potrà recuperare l’onore perduto.
Ergendosi a difesa della sua smagrita dignità, il Ciampa inanella una serie di funamboliche quanto stringenti argomentazioni, persuadendo con le sole armi della consequenzialità e della logica.
Il berretto a sonagli della pazzia è il lasciapassare che consente di accedere alla verità e di gridarla al mondo.
Al consorzio civile non resta che isolare il folle nel tentativo di preservare il suo delicato equilibrio interno: solo l’ennesimo simulacro che il protagonista lacererà scoppiando, nel finale, in un’orribile risata "di selvaggio piacere e di disperazione a un tempo".

 

NOTE DI REGIA

Prigionieri di un angusto carcere, soggetti alla tirannia delle convenzioni, gli interpreti sono costretti a disegnare brevi traiettorie, voli spezzati da barriere che ne stordiscono i più spontanei impulsi.
I personaggi sono pupi, marionette forme che imprigionano la vita vera sono circondati da simulacri della borghesia (poltrone, quadri, statue, lampadari...).
Si muovono e vivono in uno spazio delimitato, quasi costretti a vivere solo in quel quadrato piastrellato.
Si presentano al pubblico muti burattini che, una volta illuminati, prendono vita per raccontare la loro storia: maschere di ipocrisia, per esistere sono costrette a salvare ognuna il proprio ruolo nella società. Non importa chi dovrà soccombere l’importate è che l’ordine costituito non venga sovvertito.
Calibrando la parola sul gesto ed il gesto sulla parola, la regia affida alla recitazione il compito di restituire ai dialoghi il loro colore naturale nel perentorio rifiuto di ogni caricatura. Si sottolinea così che le maschere sono la normalità nel consorzio civile.
Gli anni venti del novecento fanno da ambientazione all’allestimento scenico, volutamente improntato ad un austero minimalismo.
Luci e musiche d’atmosfera incorniciano, in particolare, i momenti d’astrazione del Ciampa dal suo personaggio: i celebri monologhi nei quali la voce di Pirandello sembra distinguersi vividamente per enuclearne i gangli teorici.

 

NOTA BIOGRAFICA

Luigi Pirandello nasce nel 1867 ad Agrigento.
La famiglia, agiata e numerosa, appartiene alla nuova borghesia professionistica e industriale siciliana. Compie un complesso iter di studi e si laurea a Bonn dopo aver frequentato le università di Palermo e Roma.
Nel 1893 comincia a dedicarsi alla narrativa e nel 1901 viene pubblicato il suo primo romanzo "L’esclusa" che presenta già le principali tematiche pirandelliane: il contrasto tra apparenza e realtà, lo sfaccettarsi della verità, l’assurdità della condizione umana fissata in una "forma" che soffoca la "vita".
Nel 1904 inizia a pubblicare a puntate "Il fu Mattia Pascal" che realizza con esiti particolarmente felici la novità del suo pensiero.
Nel 1908 esce "L’umorismo" in cui enuncia i capisaldi della sua poetica.
Nel 1910 inizia la sua ricchissima produzione teatrale di cui ricordiamo "Il berretto a sonagli" del 1916, che si colloca fra le opere più importanti del primo periodo, e "Sei personaggi in cerca d’autore" del 1921, che è l’emblema della sua rottura con il teatro tradizionale.
Successivamente Pirandello continua anche l’attività di narratore con opere di grande rilievo, ma si identifica sempre più con il mondo teatrale, partecipa alla messa in scena dei suoi spettacoli e fonda il "Teatro d’Arte di Roma" conMarta Abba e Ruggero Ruggeri come primi attori.
Nel 1934 riceve il premio Nobel. Muore a Roma due anni più tardi.