Stagione teatrale passata

STAGIONE TEATRALE 2018 - 2019



dettagli

RICORRENZE

Venerdì 5 e sabato 6 ottobre 2018 ore 20:45
 

CENTENARIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
in collaborazione con la Scuola di Teatro Francesco Campogalliani

Oh, che bella guerra!

di Luigi Lunari
Regia di Maria Grazia Bettini

Prezzi per questa spettacolo: € 10,00, ridotti € 8,00 (per Associazioni convenzionate con l’Accademia Campogalliani)

NOTE BIOGRAFICHE dell’Autore

Luigi Lunari è nato a Milano nel 1934. Si laurea in legge a Milano, ma molto presto si rende conto di preferire le arti e soprattutto di preferire il Teatro al Tribunale, studia composizione e direzione d’orchestra all’Accademia Chigiana di Siena e comunque è stato anche Giudice di Pace. Si occupa di teatro in varie direzioni, dedicandosi per periodi di varia durata all’insegnamento universitario, alla saggistica, alla critica. E’ stato attivo protagonista della grande trasformazione che il teatro ha vissuto nella seconda metà del Novecento sia sul piano organizzativo e strutturale, sia per quello che riguarda ogni teoria dello spettacolo e la stessa drammaturgia. Per vent’anni dal 1961 al 1982 ha collaborato con Grassi e Giorgio Strehler, che ancora oggi Lunari chiama “Il Maestro”, al Piccolo Teatro; è stato anche docente universitario, critico teatrale e musicale. Ha tradotto in italiano molte opere teatrali di vari autori tra cui Molière, Shakespeare e Neil Simon. Fra le sue maggiori opere teatrali figura ’Tre sull’Altalena’ (1990), l’opera che lo ha reso celebre sui palcoscenici di tutta Europa. Lunari conosce il teatro dall’interno, dall’ottica di chi lo produce, dal palcoscenico, dal meccanismo artistico fondamentale che è la creazione del testo. Alcune sue opere sono state tradotte anche in giapponese e rappresentate, con grande successo, in quel Paese. Vastissima anche la sua attività saggistica, dedicata in particolare a Goldoni, Molière, Brecht e al teatro inglese dell’Otto e Novecento. Ha pubblicato inoltre una ’Breve Storia del Teatro’ e tanto altro fino ad arrivare negli anni ’60 quando per il quartetto dei Gufi, ha scritto due testi: "Non so, non ho visto, se c’ero dormivo" e "Non spingete, scappiamo anche noi". Nel 2014, infine, il suo ultimo testo teatrale: "Amor sacro, amor profano". In tutta questa sua attività teatrale, Lunari non ha mai tralasciato il suo hobby che é quello di suonare il pianoforte e la tromba. Luigi Lunari vive e lavora a Milano. 


OPERA

“Oh, che bella guerra!” Un titolo, a dir poco, provocatorio. Potrebbe mai essere considerata bella una guerra? L’autore, Luigi Lunari, giustifica il titolo con una rappresentazione in forma cabarettistica evidenziando alcuni frammenti della Prima Grande Guerra Mondiale. Sono interpretati personaggi di varia natura per i quali viene enfatizzata la loro ira, la loro arroganza, la loro follia e la loro disperazione, il tutto con una vena ironica che porta lo spettatore al sorriso, nonostante l’argomento trattato. Una Guerra che tutti quanti, chi più chi meno, conosciamo per averla studiata sui libri di scuola. Il periodo rappresentato vede i Rappresentanti Diplomatici delle Nazioni studiare le tattiche per diventare sempre più potenti e arricchirsi sempre più, indicendo battaglie spietate per conquistare territori sempre più vasti a discapito dei giovanissimi soldati, arruolati nelle maniere più disparate e ingannevoli, che morivano a milioni sui campi di battaglia o rimanevano mutilati o subivano una lunga e ardua prigionia a volte senza via di uscita. Durante lo spettacolo vengono proiettate alcune diapositive dell’epoca trattata che non devono distrarre lo spettatore, ma solo indirizzarlo al preciso momento o personaggio che viene rappresentato dagli attori. Il significato che Lurani vuole trasmettere al pubblico è: “l’inutilità della guerra”, definita anche dall’allora Papa Benedetto XV “inutile strage”. Tanto inutile che si ripeté con la dichiarazione della Seconda Guerra Mondiale.


NOTE DI REGIA

Quattro Reduci occupano la scena e raccontano in poche parole l’argomento che verrà trattato: la Guerra, in particolare la Prima Guerra Mondiale. Subito dopo lo spettatore verrà catapultato in un susseguirsi di monologhi, dialoghi, poesie, canzoni dell’epoca, interpretati e raccontati dagli attori nelle vesti di illustri Capi delle Nazioni, di soldati o dei loro parenti a casa, il tutto coordinato da una figura - una voce narrante - denominata da Lunari “Il Presentatore”. Alcuni personaggi saranno interpretati da attori diversi che si succederanno in scene distinte. Ad esempio il pubblico vedrà ed ascolterà ben cinque Presentatori e due Generali Cadorna. La rappresentazione ha una forma cabarettistica e mette in rilievo il frenetico ed esagerato “entusiasmo”, meglio definito “follia”, che vige tra i Capi delle Nazioni per impossessarsi di territori sempre più vasti facendo semplici calcoli e valutazioni solo sulle carte geografiche e chi più ne ha, più ne vorrà. Questa mania di grandezza porta gli stessi Capi delle Nazioni ad allearsi tra loro, ma anche a tradirsi o a dichiararsi guerra l’un l’altro schiaffeggiandosi sulla scena. Bello il momento in cui i soldati sul campo di battaglia, si danno tregua perché è Natale, perché in effetti loro non sono i veri acclamatori della guerra, ma sono solo dei semplici esecutori tutti uguali, tutti giovanissimi, nonostante la provenienza. Anche se per pochissimi istanti e solo ascoltandosi a distanza, festeggiano insieme il Natale cantando una canzone nota in tutto il mondo, ognuno nella propria lingua. Il momento, invece più triste e commovente dell’Opera è rappresentato dalla lettura delle “lettera a casa” interpretate da alcune attrici nei panni di madri, mogli, sorelle dei soldati. Il tutto dovrebbe finire con l’acclamazione della fine della guerra nel 1918, ma questa guerra è risultata inutile, come è il significato dell’Opera, tanto che dopo vent’anni, nel 1939, scoppierà la Seconda Guerra Mondiale. Lo spettacolo finisce con la canzone del famoso poeta Boris Vian “ Monsieur le President”, cantata in italiano, che sfocerà in un’acclamazione a gran voce di tutti gli attori: NO! No alla guerra.

dal 13 ottobre al 4 novembre 2018

Non sparate sul postino

di Derek Benfield

Regia di Maria Grazia Bettini

E’ una commedia brillante scritta nel 1964 dall’autore inglese Derek Benfield (1926 – 2009), scrittore, commediografo e attore non solo di teatro, ma anche di cinema.
Il sipario si apre su una sala del Castello di Elrood abitato dal vecchio Lord, un militare in congedo che spara a chiunque tenti di attraversare il giardino compresi il postino, il droghiere, la cameriera e persino la figlia, e dall’evanescente Lady Elrood che ha appena deciso di trasformare l’antica magione in museo per pagare i debiti. Proprio il giorno dell’apertura del castello ai visitatori arriva, per passare un tranquillo weekend in famiglia, la figlia Patricia appena sposata con Chester, che giunge in stato di completa agitazione poiché ha appena saputo che una coppia di gangster, finita in galera grazie alla sua testimonianza, è evasa e lo sta cercando per vendicarsi. Il criminale Capone ed il suo complice Wedgwood giungono al castello, ma adocchiato un prezioso dipinto concedono a Chester di aver salva la vita a patto che li aiuti a trafugarlo. Questi dovrà trovare il modo di salvarsi e di mettere in salvo il quadro cercando nel contempo di sfuggire agli assalti della cameriera Ada, da sempre follemente innamorata di lui. Il continuo via vai di Maggie e Bert una coppia di rozzi campagnoli e unici turisti, di Miss Partridge, guida turistica svampita e sconcertante e di George capo scout con cinquanta ragazzini al seguito, disturberanno i tentativi degli sfortunati banditi. Alla fine i gangster riusciranno a fuggire portandosi via un dipinto, ma sarà quello giusto?
Commedia frizzante e scoppiettante caratterizzata dal tipico humor inglese, giocata sui doppi sensi e sulle “gags” si snoda attraverso equivoci, situazioni paradossali e improvvisi colpi di scena che si succedono con ritmo incalzante fino ad un finale sorprendente.

 

NOTE DI REGIA

Per mettere in scena quest’opera molto divertente, anche se leggera con una scrittura complessa, che gioca sui doppi sensi e innumerevoli gags, è necessario creare un ritmo scoppiettante con attori perfetti nel carattere descritto dall’autore e poi è tutta una questione di ... porte con entrate e uscite ! Così ho visto il mio Postino. Una sfida alla sincronia perfetta di movimenti e gags, con personaggi esilaranti e talvolta stralunati, con una carica ed una grinta esplosiva per arrivare a divertire il pubblico fino alle lacrime.

Maria Grazia Bettini

dal 10 novembre 2018 al 13 gennaio 2019


Canto di Natale

di Charles Dickens

riduzione teatrale di Chiara Prezzavento

Regia di Maria Grazia Bettini

L’Autore

Charles Dickens nasce a Landport, Portsea, nel 1812 e muore a Gadshill Rochester nel 1870.
Sin dall’infanzia, povera e dolorosa, fu a contatto con la vita del popolo londinese, che gli diede un’esperienza feconda. Dopo aver lavorato in una fabbrica di lucido da scarpe, divenne stenografo parlamentare (1828). Nel 1833 uscirono sul Monthly Magazine i primi Sketches by Boz, che contengono già tutti gli elementi caratteristici della sua ispirazione. The posthumous papers of the Pickwich Club (1837) - Il Circolo Pickwich, pubblicato a dispense mensili, come poi la maggior parte delle sue opere, gli procurò fama e fortuna immediata; i personaggi incarnavano in modo spontaneo i lati più tipici e costanti del temperamento inglese, e la tecnica era quella cara all’autore: l’improvvisazione di episodi e scene intorno a un gruppo di personaggi. Divenuto il romanziere più popolare dell’Inghilterra, fece seguire: Oliver Twist (1838); Nicholas Nickleby (1839); The old curiosity shop (1841); Barnaby Rudge (1841); A Christmas carol (1843); The Chimes (1845); The cricket on the hearth (1846); Dombey and son (1848); David Copperfield (1850); Bleak House (1853); Hard times (1854); Little Dorrit (1857); A tale of two cities (1859); Great expectations (1861); Our mutual friend (1865). Si servì della sua popolarità per svolgere una polemica umanitaria e sociale, prendendo di mira molte istituzioni, di cui diede una rappre- sentazione quasi sempre caricaturale. La sua vena umoristica è genuina; ma nonostante l’ottimismo che fa dei suoi romanzi il monumento più tipico dell’età vittoriana, egli fu il primo romanziere che sentì la poesia di certi aspetti e ambienti torbidi e sinistri di una grande metropoli moderna.

 

Trama dello spettacolo e note di regia

“Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!” (Prima strofa)
Basta questo per far nascere lo spettacolo: un ufficio spoglio e freddo con una finestra sulle strade di Londra che si prepara al Natale con canti e raccolta fondi per gli indigenti. Un avido e meschino personaggio che respinge ogni gesto di generosità o amore o amicizia anche in un giorno così speciale. Ma forse nel suo cuore si accende una scintilla alimentata dalle parole del vecchio socio morto con il cuore incatenato dall’avidità e da quelle dei Fantasmi del Passato, Presente e Futuro.
Le scene si susseguono veloci come pensieri o sogni, fino a farlo risvegliare una persona diversa e capace di rimediare agli errori fatti anche nel solo tempo che rimane.
Il Canto è un racconto fantastico ma che racchiude verità profonde: ripercorrere la propria vita, riflettere sugli errori commessi per avidità, egoismo, insensibilità, per poter diventare una persona migliore, con sé stessi e con gli altri.
“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente” (ultima strofa)
Ho sentito la necessità di mettere in scena una favola di rinascita morale dell’individuo, in una società come la nostra dove stiamo seppellendo l’amore verso il prossimo e mostrando i peggiori lati della nostra umanità. ll Natale era una celebrazione religiosa piuttosto severa nell’Inghilterra del 1843, quando Charles Dickens, celebre scrittore in difficoltà finanziarie e creative, scrisse il romanzo breve A Christmas Carol.
La storia del vecchio avaro Scrooge e dei tre Spiriti in una Londra fuligginosa e affollata, capace delle miserie più meschine come della più calorosa generosità, era destinata a diventare l’opera più celebre di Dickens – ma anche a forgiare una nuova immagine delle celebrazioni natalizie, fatta di legami familiari, di condivisione, di agrifogli e frutta candita, di calore umano, di gentilezza e gioia.
Dickens ha creato un Natale del cuore dalla solennità misteriosa, felice e attraente al di là del suo significato strettamente religioso, un appello universale alla fraternità e agli affetti. È questo spirito che la regia vuole restituire sulla scena in Canto di Natale, adattato e tradotto appositamente da Chiara Prezzavento.
Ebenezer Scrooge, il mite scrivano Cratchit e una piccola folla di spiriti, cantori, bambini e pessimi soggetti popolano una vivace, magica parabola moderna capace di commuovere e divertire al tempo stesso – nella migliore tradizione dickensiana.

EVENTI COLLATERALI

Giovedì 15 novembre 2018

di e con SANZATRUCCO Ensemble

Oi vita mia

Nulla fa grande una guerra
Storie di parole e musica dai vicoli di una città fino alla più remota trincea.

Prezzo per questo spettacolo: € 10,00, ridotti € 8,00 per Associazioni convenzionate con l’Accademia Campogalliani)

con Anna Bianchi, Marco Remondini, Roberta Vesentini e Stefano Boccafoglia

dal 18 gennaio al 3 febbraio 2019


Il fantasma di Canterville

di Oscar Wilde

riduzione teatrale di Chiara Prezzavento

Regia di Maria Grazia Bettini

L’OPERA

Dopo tre secoli di onorata carriera sovrannaturale, il fantasma di Sir Simon mai si sarebbe aspettato dalla famiglia Otis una reazione tanto cinica e distaccata. Hiram Otis, politico statunitense, decide, infatti, di acquistare il castello di Canterville e di trasferirvisi con moglie e figli, nonostante i ripetuti avvertimenti sulla scomoda presenza di uno spettro terrificante. La campagna inglese dell’Ottocento è il luogo migliore per cadere vittima di superstizioni e l’americano decide di non dare peso a simili sciocchezze. Da subito Sir Simon impone la sua presenza spettrale, ma la reazione dei nuovi inquilini va al di là di ogni immaginazione. Gli Otis, infatti, non solo non sono terrorizzati, ma addirittura si prendono gioco di lui e vanificano ogni suo travestimento o espediente. Tutto ciò getta Sir Simon in uno stato di profonda depressione e solo la secondogenita, Virginia Otis, sembra poter entrare in relazione empatica con lui e permettergli, finalmente, di guadagnare il meritato riposo. “Il fantasma di Canterville” (1887) è un esilarante racconto del giovane Oscar Wilde, entrato nell’immaginario collettivo di ognuno di noi, e che deve la sua fortuna anche alle sue innumerevoli trasposizioni cinematografiche e teatrali. Il talento di Oscar Wilde è innegabile e in questo racconto non è racchiuso solo il modo passato di pensare, ma anche quello presente e futuro. Il cinismo, la disillusione della famiglia Otis e la tradizione rappresentata da Sir Simon sono le due facce della stessa moneta che ognuno di noi porta sempre in tasca.
Niente è più divertente di una bella storia di fantasmi. Poche sono le forme della narrazione che possono competere con la proverbiale “notte buia e tempestosa”, con i suoi alberi scheletrici, catene cigolanti, case cadenti, fantasmi svolazzanti e cripte ammuffite. Il genio stravagante di Oscar Wilde regala una storia di orrore divertentissima e acuta. La storia di uno spirito tormentato dalla presenza più terrificante che possa infestare un antico castello inglese: una moderna famiglia americana. Il Fantasma di Canterville merita un posto d’onore nel genere gotico perché è un’irriverente antologia dei suoi cliché. E anche se tutti gli elementi di questo tipo di racconti sono presenti – la casa stregata, l’indelebile macchia di sangue, lo spettro ululante, il passaggio segreto, la prigione sotterranea, la vicenda tormentata – niente di tutto questo è preso sul serio.
Tra salotti stampati e proiezioni di castelli il fine è proprio di divertire il pubblico fingendo di volerlo spaventare!

NOTE DI REGIA

Niente è più divertente di una bella storia di fantasmi. Poche sono le forme della narrazione che possono competere con la proverbiale “notte buia e tempestosa”, con i suoi alberi scheletrici, catene cigolanti, case cadenti, fantasmi svolazzanti e cripte ammuffite. Il genio stravagante di Oscar Wilde regala una storia di orrore divertentissima e acuta. La storia di uno spirito tormentato dalla presenza più terrificante che possa infestare un antico castello inglese: una moderna famiglia americana.? Il Fantasma di Canterville merita un posto d’onore nel genere gotico perché è un’irriverente antologia dei suoi cliché. E anche se tutti gli elementi di questo tipo di racconti sono presenti – la casa stregata, l’indelebile macchia di sangue, lo spettro ululante, il passaggio segreto, la prigione sotterranea, la vicenda tormentata – niente di tutto questo è preso sul serio.
Tra salotti stampati e proiezioni di castelli il fine è proprio di divertire il pubblico fingendo di volerlo spaventare!

RICORRENZE

domenica 27 gennaio 2019 ore 16:00
 

GIORNATA DELLA MEMORIA

Processo a Dio

di Stefano Massini

Se l’Onnipotente esiste, come ha potuto permettere la Shoah? L’autore Stefano Massini immagina che questo si chieda, al momento della liberazione, l’ex attrice Elga Firsch, internata nel campo di Maidanek, e che decida dunque di fare un “PROCESSO A DIO”.
Ci sono idee – frammenti di luce, indizi di storie – che incontri una volta e non ti lasciano più. Erano anni che tenevo chiusa in qualche cassetto della mente la traccia di un Processo a Dio all’indomani della Shoah. Immaginavo quel processo come una resa dei conti: violenta, acuta, drastica.
Sicuramente un appuntamento non più rimandabile, un guardarsi negli occhi fra terra e cielo. Tutto questo stava in quel cassetto, insieme a squarci di azione, atmosfere abbozzate, profili delineati come uno schizzo al carboncino. Ed ogni volta che, per caso, quel cassetto si apriva, puntualmente mi assaliva la voglia di tentare una forma scritta, traducendo finalmente in dialogo quella scommessa così estrema, per me fascinosa, densa, intrigante.


Con questo straordinario testo, la Campogalliani s’inserisce nelle manifestazioni per nel Giorno della Memoria proponendone una drammatizzazione, che vuol essere anche propedeutica ad un vero e proprio allestimento futuro, e che ha come interpreti Roberta Vesentini, Paolo di Mauro, Michele Romualdi, Adolfo Vaini, Diego Fusari, Andrea Flora, Luca Genovesi, per la regia di Mario Zolin.


Introdurrà il Prof. Frediano Sessi


NOTE DELL’AUTORE

Ho lavorato su "Processo a Dio" come forse si lavora ad una statua: ho sgrossato il blocco di marmo per poi scendere sempre più nel dettaglio. Ed era come se il testo esistesse già, laggiù, in fondo al blocco. Lo stavo scoprendo, come svelandolo: un passo dopo l’altro mi si rivelavano i tratti dei personaggi, i nodi della vicenda, le dinamiche della trama, il disegno del dialogo. Sono stato spettatore di ciò che scrivevo e scrittore di ciò che vedevo scorrermi davanti agli occhi.
Giorno dopo giorno ha preso vita sulla carta la febbre di Elga Firsch, attrice ebrea di Francoforte che a tutti i costi vuole Dio alla sbarra. E ancora - giorno dopo giorno - le si sono affiancati il rabbino Nachman difensore di Dio, il giovane Adek smanioso di vendetta, lo Scharführer Reinhard relitto del Reich e i due anziani Solomon e Mordechai, giudici severi di un processo che non può non farsi gara dura, senza esclusione di colpi, combattuta con l’istinto feroce dei sopravvissuti, di chi – marchiato dal lager – brucia per la rabbia di un massacro tanto barbaro quanto assurdo, indecifrabile, insensato.
Perché in fondo la parola chiave di questo testo non è il dolore dell’Olocausto, bensì il non-senso: quella nebbia fitta che avvolge il presente, quella insignificante banalità che muove la storia con il tragico sconcerto di chi ne è vittima. Se l’uomo è un burattino, chi lo muove? E quale logica segue il teatrino del mondo? Sono queste le domande che, come un magma, muovono il testo dal suo interno. Elga Firsch accusa Dio con la voce, in fondo, dell’umanità intera: l’umanità di ogni epoca e bandiera. E vale forse, come esempio, una battuta del rabbino Nachman: "il processo a Dio non lo facciamo noi: non si è mai chiuso. Da cinquemila anni."

Stefano Massini

RICORRENZE

domenica 27 gennaio 2019 ore 21:00
Teatro Accademico del Bibiena - Mantova

GIORNATA DELLA MEMORIA

Credo nel sole anche quando non splende

Rappresentazione aperta alla cittadinanza realizzata in collaborazione col Conservatorio di Musica “Lucio Campiani”
Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria
tel. 0376 368362 (da lunedì a venerdì ore 8.30-16.30)

L’impegno del Conservatorio di Musica “Lucio Campiani” nella celebrazione della Giornata della Memoria della Shoah è consuetudine fondante del suo progetto culturale e della sua missione. Accanto all’istituzione musicale mantovana è presente sin dall’inizio nella coproduzione artistica proposta e nel progetto culturale complessivo il Liceo Musicale e Coreutico “Isabella d’Este” e l’Accademia Teatrale “Francesco Campogalliani”.

Francesca Campogalliani e Diego Fusari

La celebrazione della Giornata della Memoria della Shoah è infatti un’occasione importante di produzione artistica “corale” coinvolgente istituzioni scolastiche e culturali della città di Mantova e del suo territorio. È una occasione di riflessione, di ricerca storica e di espressione di un forte messaggio di solidarietà rivolto alla società contemporanea: la memoria dello sterminio si deve fare generatrice di umanità perché ancora c’è bisogno di consapevolezza, di pensiero, di armonia.
Nella serata di domenica 27 gennaio alle ore 21 al Teatro Bibiena, con anteprima per le scuole sabato 26 gennaio in Auditorium alle ore 10:15, si terrà un evento di teatro e musica di grande rilevanza culturale e sociale dal titolo “Credo nel sole anche quando non splende” che vede impegnati l’Accademia Teatrale “Francesco Campogalliani” e il Conservatorio “Lucio Campiani” di Mantova. Ad introduzione dello spettacolo Francesca Campogalliani e Diego Fusari leggeranno i nomi dei deportati mantovani a cui seguirà “L’ultima lettera dal ghetto della madre al figlio” tratta da “Vita e Destino” di Vasilij Grossman per l’interpretazione di Francesca Campogalliani, in cui si ascolteranno le parole che Anna Semerova, che da dietro al filo spinato del ghetto, scrive al figlio, un brano accorato in cui Grossman, come Strum il protagonista del romanzo, ricorda la tragica fine della madre, immaginandone l’estremo, struggente commiato.

Grossman madre e figlio

In Strum, infatti, si può intravedere una sorta di alter ego dello stesso autore, egli non è a combattere al fronte, è un fisico teorico figlio di madre ebrea il cui talento è riconosciuto a livello internazionale, che al culmine delle sue ricerche (si occupa di fissione nucleare) vede abbattersi su di sé il flagello dell’antisemitismo, col rischio di essere eliminato fisicamente. Strum è un ebreo russo, anzi è un russo ebreo assimilato come Grossman. E come Grossman scopre cosa vuol dire essere ebreo solo quando la madre deportata in un lager dai nazisti invasori, gli scrive l’ultima lettera.

Veduta dello Stalag VIII A di Görlitz

La parte musicale vedrà l’esecuzione del “Quatuor pour la fin du Temps” di Olivier Messiaen, quartetto composto tra la fine del 1940 e gli inizi del 1941 nel campo di concentramento di Goerlitz, che è considerato uno dei più alti esempi di musica cameristica del XX secolo. Dedicato all’Apocalisse, ovvero alla fine del Tempo per definizione, affronta come nodo centrale il problema stesso del Tempo, visto attraverso una triplice prospettiva religiosa, filosofica e musicale. Giacomo Invernizzi, Primo violino e Direttore musicale, condurrà Roberto Martinelli al pianoforte, Nicol Merzi al clarinetto e Niccolò Nigrelli al violoncello in questa avventura musicale tanto affascinante quanto impervia per le sue difficoltà tecnico- interpretative.

Zvi Kolitz

Chiuderà la serata l’attore Diego Fusari con il monologo “Yossl Rakover si rivolge a Dio”, opera di Zvi Kolitz. il testamento spirituale dell’ebreo Yossl Rakover, che, chiuso nella sua stanza nel ghetto di Varsavia circondato dalle fiamme e prossimo a soccombere, ribadisce la sua fede incrollabile nella Legge, pur chiedendo a gran voce a Dio dove si trovino i confini della Sua pazienza nel vedere l’infinito cammino dei sofferenti ed i milioni di massacrati, che hanno il diritto di sapere e di avere una risposta. Ed è proprio da questa resistenza spirituale, questa incrollabile forza di reazione e di vita che è stato tratto il titolo della rappresentazione “Credo nel sole anche quando non splende”, motto dal sapore apocalittico con cui si apre il testamento di Yossl.



L’ideazione e la regia dello spettacolo sono di Giovanna Maresta docente del Conservatorio Campiani, le luci verranno curate da Adriano Bigi e la parte fonica da Daniele Grassi.

dal 9 al 24 febbraio 2019


Assenze

di Peter M. Floyd

traduzione di Antonia Brancati

Regia di Mario Zolin

L’OPERA

“Assenze” è la storia di Helen Bastion, una matura matriarca con una volontà di ferro. Anche se in famiglia i rapporti sono difficili per la sua infaticabile azione di controllo su tutto e su tutti, è comunque una storia d’amore per la vita. Compaiono i primi vuoti di memoria, all’inizio negati, in seguito mascherati, ma poi inevitabilmente sconvolgenti. “Pensi che mi lascerò andare facilmente? Io lotterò fino alla fine”.
Helen non ha nessuna intenzione di lasciarsi scivolare nell’oblio. Il suo mondo però diventa sempre più caotico. Vorrebbe ritrovare un rapporto con la figlia Barb, che ha deluso le sue attese e provocato la sua disapprovazione, ma le parole perdono via via di significato e il dialogo diventa sempre più difficile. La sua corazza d’acciaio comincia a sgretolarsi. Le sue facoltà mnemoniche diventano sempre più confuse, tuttavia conservano memoria affettiva, intelligenza, astuzia, abilità dialettiche. Helen si sforza disperatamente di trovare un significato ad un’esistenza che sta lentamente e inesorabilmente diventando un “involucro” vuoto... ed ecco appare il dott. Bright. Con lui Helen arriva a valutare in modo nuovo la sua nuova vita senza tempo né memoria, a scoprire un orizzonte diverso, non privo di poesia e leggerezza: “Libera. Mi sento libera”.
“Assenze” è un testo che coinvolge lo spettatore nell’alternarsi di forze contrapposte, cedimenti, paure, sentimenti, e desideri contrastanti, perché vede la realtà attraverso gli occhi di Helen, fa sue le sue visioni, sente non quello che persone dicono, ma ciò che Helen sente: una progressione che diventa un inanellarsi di parole che insieme non hanno senso. Lo spettatore vede le situazioni dal punto di vista di Helen, ossia dall’interno della sua inafferrabile, odiata e infine amata condizione.


 


NOTE DI REGIA

La forza del testo sta nella capacità di proiettare lo spettatore all’interno di una vicenda che per sua natura è cruda, disarmante ma anche affascinante.
La sfida della messinscena si è dimostrata subito ardua: ambienti diversi nei quali collocare la storia e i suoi protagonisti, salti temporali da sottolineare durante lo svolgimento delle varie scene. Per dipanare questa matassa mi sono affidato all’uso finalizzato delle luci, agli effetti sonori e alle musiche che devono scandire i diversi momenti della storia.
Impegnativo il personaggio del dott. Bright che si materializza nella mente di Helen e alla vista degli spettatori, ma non a quella degli altri interpreti. Al dott. Bright (in traduzione “luminoso, gioioso, allegro”) ho imposto una recitazione sfaccettata, misteriosa, a volte beffarda, dolce ma cruda, sincera.
La scena rappresenta lo skyline di una città americana. Si tratta quindi di un esterno, ma può essere anche un interno, un piano su cui far comparire immagini di ricordi, o una barriera tra la protagonista e gli altri personaggi. Gli elementi d’arredo sono al minimo: la poltrona di Helen, suo luogo di sicurezza, e il divano-lettino d’ospedale. Insomma tutto ridotto all’essenziale per lasciare agli spettatori la possibilità di concentrarsi senza distrazioni, di entrare nella storia, di ascoltarla e vederla con gli occhi della protagonista.


 


L’AUTORE

Peter M. Floyd, nativo del New Hampshire, si è laureato in scienze politiche al MIT di Boston, dove vive. Si è sempre interessato al teatro e ha cominciato a lavorare come attore e regista con numerosi gruppi teatrali locali. La sua carriera di autore ha avuto inizio nel 2005 con la commedia breve “The Little Death” e da allora non ha più smesso di scrivere per il teatro. Nel 2010 ha cominciato a studiare drammaturgia alla Boston University, ottenendo il titolo di Master of Fine Arts nel gennaio 2012. Durante il suo corso di studi ha composto “Absence” che, dopo aver vinto numerosi premi, è andato in scena con grande successo al Boston Playwrights’ Theatre nel 2014.

RICORRENZE

Venerdì, 8 marzo 2019 ore 20:45
 

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA

Sette minuti

di Stefano Massini

con le attrici della Campogalliani

dal 9 marzo al 28 aprile 2019


Rumors

di Neil Simon

traduzione di Maria Teresa Petruzzi

Regia di Mario Zolin

TRAMA

Gli elementi per un’ atmosfera quasi da giallo ci sono tutti: il padrone di casa, che non si esprime, trovato ferito a letto con vicino la pistola fumante, la moglie e la servitù misteriosamente assenti. Questa è la scena che gli ospiti di quella che sarebbe dovuta essere una bellissima festa si trovano ad affrontare. La soluzione potrebbe essere facile: chiamare la polizia, ma l’ombra dello scandalo può far tremare dalle fondamenta le loro posizioni sociali; tutti infatti sono legati per amicizia e per interessi al padrone di casa. Cosa fare per evitare di essere coinvolti, loro malgrado, nel fatto di sangue e rischiare così di perdere tutti quei privilegi acquisiti proprio in funzione del loro rapporto con i padroni di casa?

A tutto questo va unita un’abbondante dose di imprevisti e infortuni che occorreranno ad ognuno dei nostri sfortunati ospiti, i quali troveranno però il tempo per confidarsi gli ultimi rumors (pettegolezzi) di cronaca rosa che animano il loro tennis club.

La commedia riesce a mettere in ridicolo l’ipocrisia e la falsità che sembrano qualità innate in certi strati della borghesia. La verità non viene detta da nessuno e non si sente neppure il bisogno di conoscerla, salvo nel caso in cui si stia parlando di pettegolezzi, allora sì che di verità si diventa avidi e la menzogna non è tollerata.

 

L’AUTORE

Neil Simon nasce a New York il 4 luglio 1927 e ivi muore il 26 agosto 2018. Noto per il suo stile asciutto ed incisivo, per le battute fulminanti e per i dialoghi brillanti, Simon è stato un maestro nell’arte di fondere i toni leggeri della commedia a solide strutture drammatiche. Il settimanale TIME lo ha definito come “il santo patrono delle risate”, mentre per molti osservatori e critici è da considerarsi come il commediografo più popolare dopo William Shakespeare. Molti titoli di Neil Simon, rappresentati in tutto il mondo, sono diventati classici del teatro contemporaneo e hanno avuto trasposizioni cinematografiche di grande successo: “La strana coppia”, “A piedi nudi nel parco”, “Prigioniero della seconda strada” solo per citarne alcuni.

Nella sua carriera ha ottenuto quattro candidature all’Oscar e ha vinto un premio Pulitzer per la drammaturgia per l’opera “Lost in Yonkers”; con la commedia “Rumors” si è aggiudicato un Tony Award come il miglior spettacolo teatrale.

EVENTI COLLATERALI
Venerdì 17 e Sabato 18 Maggio - ore 21.00

Scuola di teatro Francesco Campogalliani
Anno 2018-2019

Buon Viaggio

con
Camilla - Chiara - Esther - Giulia – Mariasole - Martina e Tommaso

 

Ideato e diretto da:

Marina Alberini - Nicola Martinelli - Mario Zolin

Il viaggio: immaginazione, avventura, emozione


Questo è stato lo spirito che ci ha spinto a realizzare uno spettacolo variegato che spazia da Omero ad Asimov, da Piumini a Rodari.
I ragazzi si sono cimentati in prove di recitazione singole, collettive, ritmiche e canore.
Il corso ha privilegiato l’espressione verbale e l’acquisizione di codici drammatici e comunicativi.
I ragazzi hanno recepito l’importanza del ritmo e allenato l’uso della voce, sviluppando la sincronizzazione con il gruppo e la coralità d’azione.
Quale migliore occasione per dimostrarlo se non cantando dal vivo?
Una sfida che, sebbene affrontata con iniziale titubanza ed imbarazzo, ha portato ad un consapevole uso e all’emissione armonica della voce.
Con pochissimi mezzi a disposizione e senza l’utilizzo di importanti strutture sceniche i ragazzi sono riusciti a mettere in scena lo spettacolo.


Questo viaggio è stato intrapreso da :
BIZZI Giulia, DALZOPPO Tommaso, FARÈ Chiara, GUARNERIO Camilla, MARRA Martina, TARTARI Mariasole, TORELLI Esther

 

Difficile diventare adulti se non si fa un viaggio da soli: E’ un modo per superare la paura dell’altro e anche di se stessi, in cui ci si trova a fronteggiare la nostalgia , si arriva alla scoperta delle radici. Finché non fai un viaggio da solo non impari a rapportarti con gli altri.

( Paolo Rumiz )

EVENTI COLLATERALI

25 e 26 maggio 2019
 

Spettacolo degli Allievi della Scuola di Teatro “Francesco Campogalliani”

Horror tales

La paura, il mistero, il delitto
Il fascino sottile dell’angoscia

Il teatro è il luogo dove prendono vita le grandi emozioni: amore, rabbia, malinconia, tristezza.

Ma quest’anno gli allievi lo hanno fatto diventare il regno della paura e dell’inquietudine, portando in scena il lato oscuro che si cela in ognuno di noi.

La Paura interpretata nei suoi stati diversi: ansia, panico, terrore, inquietudine, tensione, di diversa intensità e durata. L’animo umano si mostra a noi nelle sue varie sfaccettature palesi, nascoste, nitide, oscure. La paura lo attraversa e si alimenta formando una trama che può catturare o anche uccidere. LA PAURA CHE RENDE PAZZI E LA PAZZIA CHE FA PAURA.Lo spettacolo degli allievi del secondo anno della scuola di teatro,  propone monologhi e letture tratti da spettacoli e film . Si offriranno inoltre due brevi racconti del maestro Edgar Allan Poe e una trasposizione teatrale di un racconto di Robert Bloch. Completano la rappresentazione IL SABOTAGGIO e DELITTO IN MANICOMIO, atti unici del TEATRO DEL GRAND GUIGNOL dove regnano orrore, violenza, sadismo, gusto dell’orrido: le ossessioni maniacali sfociano in supremi atti di violenza, la vendetta e lo sfregio sadico per mezzo di acido e mutilazioni efferate.

E TU, (QUANDO) HAI PAURA?

MONOLOGO “FACCIAMO CHE IO ERO”
liberamente tratto dal monologo di Virginia Raffaele
Regia di Andrea Flora

LETTURA “LA MORTE ROSSA”
di Edgar Allan Poe
Il racconto rappresenta quel disordine letale che è la follia, la malattia e la morte.
Regia di Diego Fusari

E TU, (QUANDO) HAI PAURA?

LETTURA “IL CUORE RIVELATORE”
di Edgar Allan Poe
L’ossessione per l’occhio di un vecchio cresce fino a diventare insopportabile.
Regia di Diego Fusari

MONOLOGO “LA PAURA DEGLI ALTRI”
tratto dal film Happy family di Gabriele Salvatores

Regia di Andrea Flora

IL SABOTAGGIO
atto unico da Grand Guignol
Regia: Maria Grazia Bettini

MONOLOGO “IL BUIO NELL’ANIMA”
tratto dall’omonimo film di Neil Jordan
Regia di Andrea Flora

CARAMELLE PER LA PICCINA
di Robert Bloch
La piccola Irma è la protagonista di questo delizioso racconto horror partorito dal leggendario Robert Bloch, autore di Psycho. Gli allievi ne hanno rielaborato la trama, riscrivendo il testo per ricondurlo ad un classico poliziesco venato di Horror.
Regia di Chiara Prezzavento

E TU, QUANDO HAI PAURA?

MONOLOGO “LA PAURA”
tratto dal monologo di Giorgio Gaber
Regia di Diego Fusari

DELITTO IN MANICOMIO
atto unico da Grand Guignol
Regia: Maria Grazia Bettini

  

NOTE DI REGIA

A conclusione del corso avanzato di quest’anno, si è pensato di costruire uno spettacolo in cui gli allievi della Campogalliani si cimentassero con la sfida di esplorare le diverse e sfaccettate sfumature della PAURA, portando in scena tre brevi testi teatrali, letture, monologhi ed esperienze personali.
La forza dei testi e della recitazione sta nella capacità di proiettare lo spettatore all’interno di vicende crude che, dapprima lentamente, ma inesorabilmente, si succedono poi con ritmo incalzante per concludersi in un finale macabro.
La messinscena ha richiesto ambienti diversi, un uso attento e finalizzato delle luci, degli effetti sonori e delle musiche, oltre a particolari effetti scenici.
I testi teatrali e le letture sono collegati da esperienze personali che dilatano l’emozione della paura nel tempo e nello spazio.

1 giugno 2019 ore 21:00 e 2 giugno 2019 ore 17:00

Scuola di Teatro Francesco Campogalliani
Anno 2018 - 2019

Paure

Coordinato e diretto da: Chiara Prezzavento e Mario Zolin
e
Realizzato dagli allievi del primo anno

- Benvenuti nel Labirinto della Paura -


Non c’è più tempo per pensare…

Prendete ogni respiro del vostro coraggio più nascosto e avvicinatevi. Lasciatevi guidare in questo viaggio: guarderemo negli occhi paure che si fatica anche solo a nominare.
Stanza dopo stanza, scena dopo scena, gli allievi del primo anno dell’Accademia Campogalliani vi guideranno ad esplorare le ombre disegnate da alcune tra le paure più affascinanti ed umane. Come in un gioco di specchi, entrerete nell’universo emotivo e sensoriale degli autori, incontrerete le forme assunte dalle paure altrui, che, pur distanti, sapranno toccarvi come un soffio di vento nel buio.

La paura ha il potere di paralizzare l’agire e congelare il sentire, quando assume le tonalità della follia e dell’angoscia. Per metterne in scena le sfumature, le tonalità gli allievi con la frustrazione di accettare le proprie paure e con la fatica di chiamarle per nome, dar loro un luogo un tempo, un volto ed una voce.

Lo spettacolo è il frutto di un percorso di ricerca e di un lavoro di ascolto di sé e di scrittura: attraverso le tecniche dell’improvvisazione, gli allievi hanno lavorato sugli aspetti non verbali, di prossemica, gestualità, mimica, respirazione, presenza scenica, e si sono allenati a prendere contatto con il proprio spazio interiore. Sotto la guida dei docenti dell’Accademia hanno lavorato alla scrittura dei testi, curandone poi la regia, la direzione scenica, l’uso di luci e la costruzione delle colonne sonore - ricreando sulla scena gli strumenti a disposizione dell’essere umano quando è costretto a confrontarsi con ciò che lo soffoca e paralizza.Ha preso forma così il Labirinto della Paura nel Teatrino di Palazzo d’Arco.

Entrate, se ne avete il coraggio,
vi accompagneranno:
Angela ANGELASTRO - Irene BARONI - Chiara Maria BATTINI - Angelica BORSA - Eleonora BUCCI - Alessandra CANTONI - Carolina CARRA - Paola DALCORE - Paola GERMINIASI - Cinzia LORELLI - Gaia MAURO - Matilde MAZZOCCHI - Barbara PEDRAZZINI - Andrea PREDELLA - Maria Vittoria PREVIDI - Giovanni PUGNAGHI - Giovanni RODELLI - Giancarlo SANTARELLO.

 


“La paura è l’emozione più difficile da gestire: Il dolore si piange, la rabbia si urla, ma la paura si aggrappa silenziosamente al cuore”

(Gregory David Roberts)