20
giu
di Carlo Goldoni
regia di Carla Totola
“La locandiera” nasce in un momento critico e complesso dell’attività del Goldoni: quando egli sembrava prendere una certa distanza dai suoi attori e insieme dalla sua tematica e tentare le vie di un "artificio" raffinato certo, ma anche più distaccato, meno direttamente coinvolto in un proposito di grande “riforma”.
Nella locanda di Mirandolina, a Firenze, gli ospiti e un aiutante si contendono i favori della bella e disinvolta locandiera, che alla fine farà una scelta non scontata.
L’equilibrio strutturale è imperniato si due temi: la passione e la finzione. Ogni personaggio, almeno una volta finge. Il marchese finge una ricchezza che non ha, il conte esibisce una nobiltà comprata, le due commedianti si chiamano dame; lo stesso cavaliere si nasconde dietro una misoginia che poi deve cedere all’amore di Mirandolina; anche Fabrizio è reticente con la sua coscienza a tratti emergente, per calcolo e amore del quieto vivere.
Al centro Mirandolina che fa vedere come si innamorano gli uomini. A questo fine, usa lo strumento della finzione, il teatro: che le permette non solo di controllare gesti e parole a contatto con i personaggi, sulla scena, ma di annunciare a organizzare la propria commedia dialogando con il pubblico, il quale costituisce, da questo punto di vista, il suo vero interlocutore; finge con tutti, ma svela la propria finzione al pubblico.
La sua, insomma, è una lezione fatta a teatro e col teatro, che la distacca, per una breve frazione di tempo, perfino da se stessa.